L’Ayurveda è una conoscenza della vita antichissima, le cui radici affondano nella mitologia intesa NON come autonoma fantasia, serbatoio di eventi mentali, di idee, ma come arte e metafora delle funzioni differenti della spiritualità e dei modi dell’ organizzazione dell’esistenza caratteristici delle umanità prefilosofiche e prescientifiche.
Un altro concetto importante da mettere in risalto, per comprendere la storia mitologica dell’Ayurveda, è che un insegnamento è degno di fede se viene impartito da un maestro di cui tutti riconoscono la competenza e la virtù. Perciò, nel racconto mitico, troveremo che il Maestro (Guru) più affidabile è la Divinità Stessa e che l’Ayurveda è un sapere divino, originariamente non destinato agli uomini. In India, inoltre, è diffusa l’opinione che ciò che viene per primo sia più importante, perchè contiene il seme originario di tutto ciò che si svilupperà in seguito.
Nel libro Charaka samhita, il primo testo Ayurvedico, inizia descrivendo l’incontenibile desiderio di longevità dell’asceta Bharadvaja, saggio animato dall’ardore profondo della conoscenza. Ma questo ardore non era sufficiente a fargli ottenere la conscenza dell’Ayurveda custodita dagli dei e, per apprenderla gli occorreva un Maestro.
Per questo l’asceta Bharadvaja si spinse fino ad avvicinarsi al dio Indra, il quale non è il dio che possiede la conoscenza originaria della medicina, ma l’ apprese dai divini gemelli Asvin, i quali l’avevano ricevuta da Prajapati, il padre delle creature, che a sua volta l’apprese da Brahma, che è il primo possessore.
Bharadvaja preferì chiedere aiuto ad Indra, perché quest’ultimo non aveva ancora trasmesso la sua sapienza a un discepolo e, per tradizione, chi riceve un insegnamento non è libero di tenerselo per sé, ma contrae un debito verso i suoi Maestri che può essere estinto solo quando tale insegnamento sarà trasfuso in un altro individuo. Tutti gli altri Dèi avevano già operato la trasmissione.
Bharadvaja non vuole conoscere l’Ayurveda soltanto per trarne vantaggio personale, ma anche per riferirlo ai grandi veggenti (rishi) che lo avevano mandato in missione da Indra. Questi grandi saggi avevano constatato con molta tristezza che le malattie impedivano agli esseri umani di vivere serenamente e di svolgere le loro pratiche religiose e, speravano che Bharadvaja riuscisse ad ottenere da Indra un rimedio.
Bharadvaja non apprende dal dio Indra l’Ayurveda nella sua forma originale, ma in un breve riassunto. Grazie alla sua straordinaria intelligenza, egli colse con una fulminea intuizione la smisurata dottrina ayurvedica che applicò a se stesso (visse una lunga e felice vita) e la raccontò ai grandi saggi. Di maestro in discepolo, l’insegnamento giunse poi ad Atreya Punarvasu e da lui ad Agnivesha, l’autore della Charakasamhita, il primo testo scritto dell’Ayurveda.