Per capire correttamente i testi sancriti ayurvedici bisogna, oltre a comprendere il racconto dei miti presenti nei dialoghi tra maestri e discepoli e cogliere l’ordine secondo il quale sono esposti gli argomenti, conoscere anche il punto di vista filosofico che sta alla sua base.
La “Filosofia Ayurvedica” si basa sulle varie Scuole di Pensiero presenti all’epoca della sua strutturazione che apparentemente possono sembrare in contrasto l’una con l’altra, ma dalle quali l’Ayurveda ha tratto i principi che le permisero di spiegare gli eventi coinvolgenti la prevenzione e la cura dell’essere umano.
Perché l’Ayurveda non ha impiegato solo il pensiero di una scuola? Perché come c’è scritto in Susruta Sutra IV, 6-7: ““chi studia un solo corpo dottrinale, non avrà di esso una conoscenza sicura; perciò il medico che studia questo corpo dottrinale deve conoscerne molti altri”.
Infatti i trattati ayurvedici non possono contenere tutte le dimostrazioni e le spiegazioni date nei testi filosofici, ma soltanto delle allusioni ad esse, che saranno chiare al medico erudito.
La prima sintesi di questa operazione fu il trattato di Agnivesa che successivamente fu redatto da Caraka: il Caraka Samhita, che fu considerato il fondatore della Scuola di Ayurveda, che ufficializzava un pensiero indipendente dalle restanti Scuole Filosofiche. In questo testo vengono scritte anche le Tantrayukti, le regole (yukti) per comporre un trattato di argomento scientifico o tecnico (tantra). Bisogna ricordare che il termine yukti al singolare significa “composizione“, un metodo per porre insieme argomenti e parole, ma nello stesso tempo una conoscenza razionale che opera dei collegamenti fra fatti, cause, ecc.; al plurale, yukti si riferisce ai criteri di esposizione e di interpretazione di un testo (CS Sutra XI, 25; SS Uttarat LXV, 7).